Le generazioni successive: Ramo di Lecce
Pardo Castriota Scanderbeg, capostipite del ramo familiare di Terra d'Otranto, nacque il 1538 dal duca Ferrante e da Porzia de Urrisio, di cospicua famiglia galatinese. Sposò Antonella Stefagnoli, di nobile famiglia originaria d'Otranto, da cui ebbe diversi figli. Tra questi, il primogenito Costantino sposò Antonia Verdesca Morelli, di famiglia patrizia di Copertino, dando seguito alla discendenza. Antonia Verdesca Morelli è figura importante nella storia dei Castriota Scanderbeg di Terra d'Otranto, perché vincolò la sua notevole ricchezza al mantenimento del decoro familiare, e istituì, con testamento del 30 gennaio 1629, un fedecommesso mascolino, avente a precipuo oggetto il tenimento con masseria "Samali" tra Copertino e Leverano, a tutt' oggi in proprietà della famiglia.
A riprova dell' enfasi e del lustro che si connetteva all'imparentarsi con i Castriota Scanderbeg, valga questo brano del 1627 tratto dalle "Memorie" dell'erudito Silvio Arcudi: "[...] nelle sei del mese di dicembre si strinse il trattamento del matrimonio di Giovanni Arcudi mio figlio di anni 17 con donna Maria Castriota de Scanderbech. È donna Maria Castriota de Scanderbech figlia di donna Antonia Verdesca Morelli di Copertino, et figlia maggiore e primogenita di don Costantino Castriota de Scanderbech che fu di don Pardo che fu di Ferrante, che fu di Giovanni, primo duca di San Pietro (Galatina, n.d.r.) che fu di Giorgio Castrioto detto Scanderebech, re di Epiro et di Albania".
Figlio postumo di questo Costantino fu un altro Costantino, detto poi Alessandro, battezzato in Copertino il 6 febbraio 1616; dapprima chierico, abbandonò la via ecclesiastica a seguito della morte del fratello maggiore Francesco, contraendo matrimonio con Donata Curchi, di famiglia appartenente al patriziato galatinese. Inizia in questa generazione la notizia di donne di casa Castriota Scanderbeg professe nella religione di Santa Chiara, nel convento della SS. Annunziata di Copertino, fondato per volontà di Alfonso Granai Castriota. Vittoria (Ϯ1656) e Laudomia (Ϯ1686), sorelle di Alessandro, vissero e morirono nel convento copertinese; di esse, anzi, Laudomia fu anche badessa nel triennio 1642-1645 e poi in quello 1672-1675. Anche due cugine delle precedenti (figlie d'un Alessandro di Pardo), e cioè Lucrezia e Andronica (Ϯ12/04/1646), erano in monastero; ed Andronica ne fu badessa nel triennio 1636-1639 e poi nel 1643. Il palazzo che, dopo la morte di Pardo, i Castriota Scanderbeg abitarono in Copertino - e fino al loro trasferimento in Lecce - è di "saldo impianto tardocinquecentesco", e tuttora domina la locale piazza del Popolo.
Figlio di Alessandro-Costantino fu Vitantonio, battezzato il 23 marzo 1641, che sposò Isabella Castriota Scanderbeg, del ramo dei baroni di Gagliano, oggi estinto. Dal predetto matrimonio nacque, e fu battezzato il 28 settembre 1659, un novello Alessandro (Ϯ 23/08/1743), il quale trasferì la residenza della famiglia da Copertino in Lecce. L'occasione fu il suo matrimonio con Caterina Giustiniani, della celeberrima famiglia genovese, figlia di Gian Andrea Fabiano marchese di Caprarica di Lecce. I novelli sposi, tra il 1691 e il 1695, e proprio accanto a palazzo Giustiniani nella centralissima via San Biagio (oggi via dei Perroni) al n° 17, "fecero costruire da maestranze zimbalesche (dell'architetto Zimbalo, n.d.r.) la loro residenza su fondi che appartenevano in parte ai Domenicani Leccesi". Il palazzo fu poi ristrutturato dal celebre architetto Emanuele Manieri nel corso del Settecento; finì demolito all'inizio del Novecento. Alessandro ed i suoi discendenti furono ascritti al patriziato leccese il 3 grugno 1685, ed in esso si conservarono fino all'abolizione dell'istituzione (è degno di nota il fatto che la città di Lecce si sia conservata in perpetuo regime demaniale, a partire dal 1463). Vedovo della Giustiniani, Alessandro si sposò altre due volte. Anzitutto con Irene Pieve Sauli, della nobilissima famiglia gallipolina, il 17 dicembre 1703. Da questo matrimonio nacque il primo settembre 1704, Isabella Castriota Scanderbeg, la celebre poetessa, oggetto di molte monografie, e di una voce nel "Dizionario biografico degli Italiani". A lei è intestata una strada nel centro antico di Lecce. Ebbe due mariti: il primo fu Filippo Guarini, barone di Tuglie, sposato l'undici dicembre 1720; il secondo, il famoso letterato e patrizio leccese Pietro Belli, che sposò il 22 giugno del 1741. Benedetto Croce ricorda l'amicizia di Gianbattista Vico col Belli e con la moglie Castriota Scanderbeg. Terza ed ultima moglie di Alessandro Castriota Scanderbeg, sposata il 13 giugno 1706, fu Giuseppa de Torres, nipote ex patre dell'Arcivescovo locale, e appartenente all'antica e celebre famiglia spagnola e romana, ascritta all' importante patriziato di Trani.
Alessandro tenne per l'intero arco della sua lunga vita un diario, in cui tra conti familiari e notizie di avvenimenti politici, tra elenchi di pergamene ed estratti di albarani ed atti notarili, vi erano molte notizie riguardanti la poetessa Isabella, sua figlia, che poi servirono per ricostruirne la vita privata e letteraria. Questo importante documento, che ancora attende di essere interamente trascritto per il beneficio degli studiosi, fu donato dalla vedova di Costantino Castriota Scanderbeg, Isabella Paladini, al cultore di lettere Vacca, e da questi donato a Nicola De Simone Paladini, che lo utilizzò per scriverne un libro su Isabella e Pietro Belli. Attualmente il manoscritto si trova nell'Archivio di Stato di Bari. Riportiamo un breve brano del manoscritto, contenente una serie di precetti per i propri discendenti, dal quale emerge lo spirito di un rigido conservatorismo patrizio che permeò la vita di Alessandro Castriota.
"1°, Che abbiano il santo timor di Dio; 2° Che abbiano sempre il ricordo di loro Antenati; 3° Che non sia nissuno di loro che andasse ad habitare ai luoghi baronali se non ne sono loro li padroni; 4° Che le parentele si debbano fare in Lecce con le famiglie Antoglietta, Maramonte, Guarinì, Lubellì, Capece, Saracini, Montefuscoli, Castromediani, Cicala, Maresgalli, Paladini, Prato, Venturi del duca di Minervino, Bozzi Corsi, Tresca, Palmieri del marchese di Martignano. Et in caso che non vi sono delle dette Famiglie, le parentele si potranno fare con Verardi, Personè del Policastro, Belli, San Biasi, Tafuri dei baroni di Mollone. E quando anche vogliono uscire dalle parentele di Lecce, debbino apparentare con Case che abbino provato il quarto; et se per necessità li maschi debbino sbassarsi et apparentare con Case di fuora, non permettano che le loro doti siano meno di ducati diece miglia in circa. Come anche le femmine non si permettano de maritarsi se non a Baroni di Feudi Nobili, purché habbino almeno ducati mille de entrata l'anno. Ma il meglio, quando non può la Casa de maritarle con pari loro, che si debbano monacare".
Finalmente, dalla de Torres Alessandro ebbe prole numerosa, ed anche maschile. Il primogenito fu Francesco Paolo, che sposò la nobile Orsola Caretti, ma non ebbe figli; in Lecce ebbe un proprio palazzo nell'attuale via Theutra, oggi in proprietà della famiglia Dolce. Tra le donne, Teresa sposò Fiorillo Frisari della famosa famiglia di Bisceglie e Teodora sposò Giuseppe Ferraroli, di famiglia veneziana provvista di titolo baronale. Fu invece Vitantonio, l'altro figlio maschio di Alessandro, nato il 30 agosto e battezzato il pnmo settembre 1717, ad assicurare la continuità della famiglia. Il 3 febbraio 1748 sposò Doneca (=Andronica) Castriota Scanderbeg del fu Federico da Calimera, appartenente al ramo di Gagliano. Il "Catasto Onciario"' di Lecce del 1755 lo censisce con la moglie, quattro figli piccoli e tre servi; abitava "in portaggio S. Biagio, isola di S. Matteo", cioè nel palazzo di famiglia. Fu general sindaco del ceto dei Nobili di Lecce nel 1752-1754.
Molti figli nacquero da questo matrimonio. Si ricordano solo quelli che giunsero, a loro volta, al matrimonio e gli altri che scelsero lo stato ecclesiastico raggiungendo alte dignità. Giuseppa sposò Vincenzo Bernardini, di famiglia patrizia leccese, ed una nuova Isabella rinnovò l'intenso legame parentale con i Guarini, duchi di Poggiardo, sposando il 31 ottobre 1790 Gaetano dei baroni di San Cesario. Tra i maschi, Giorgio fu abate nell'illustre cenobio cassinese; Costantino fu vicario generale del Cetraro; ed Oronzo, che diresse da Lecce le sorti del patrimonio familiare abitando nel palazzo di famiglia, fu canonico della Cattedrale di Lecce. Nel suo cospicuo patrimonio va calcolato anche l'acquisto, nel 1820, d'un bene ex feudale: il tenimento con masseria "Frasca", nel distretto di Lecce, verso Cavallino. Nel suo testamento olografo dell'undici giugno 1813, oltre ad indicare l'erede universale nell'unico nipote coniugato, come si vedrà, legò una bellissima "croce d'oro di petto" al tesoro di S. Oronzo, nella Cattedrale di Lecce.
Fu tuttavia Alessandro, il primogenito di Vitantonio e Doneca, ad assicurare la continuità della famiglia. Per più motivi, costui innovò i modi tradizionali della famiglia Castriota Scenderbeg. Egli, nato l'8 febbraio 1748, fu battezzato nella Chiesa Cattedrale di Lecce il 15 febbraio. Si laureò in "utroque iure " nell'Università di Napoli, ed iniziò la prestigiosa carriera amministrativa e, insieme, militare, del Regio Governatore. Lo fu in Monopoli, Amalfi e Bitonto, e in altre importanti città del Regno di Napoli. A Monopoli poi, il 16 luglio 1787, sposò Angela Lentini, figlia di Gian Battista, patrizio monopolitano e barone di Missanello e Lenticchio. Questo matrimonio inserì Alessandro nella primaria nobiltà della Terra di Bari; sua cognata Maria aveva sposato Domenico Sagarriga Visconti e l'altra, Erminia, il barone di Melpignano Francesco Antonio de Luca. Fu iscritto infine dal 1801 nell'Elenco del Gran Priorato di Barletta, afferente all'Ordine Gerosolimitano di Malta. Morì in Caserta il 27 maggio 1803. Per accompagnare la carriera di Alessandro, i Castriota Scanderbeg elessero alla fine del Settecento la propria residenza in Napoli alla via Belvedere, 8. Nel 1812 abitava qui Angela Lentini, vedova di Alessandro, insieme con i figli, e monsignor Costantino. Abitarono poi alla calata Trinità Maggiore, 24, nel palazzo Pignatelli di Monteleone.
Fu, questa generazione, ricca di successi e di parentele illustri. La figlia Carolina (1799 - 1877) sposò il 25 maggio 1825 il marchese Nicola Santangelo, celebre ministro di Ferdinando II, rinnovatore dell' Ateneo napoletano, istitutore tra i più importanti dei Musei Borbonici, ed egli stesso famoso collezionista di quadri. Tra i maschi si ricorda Federico (1798 - 1866), avvocato celeberrimo, indicato dal famoso scrittore borbonico Pietro Calà Ulloa come una delle glorie del foro penale napoletano, in quei tempi il più importante d'Italia. Difese noti liberali come Spaventa, Poerio e De Pace, ma rifiutò di difendere Agesilao Milano, l'attentatore del Re Borbone. Venuto il 1860, fu innalzato alla magistratura con i decreti di Liborio Romano, e ricoprì incarichi importanti nel varo dell'Università partenopea nella nuova Italia. Non si sposò, e la continuità della famiglia fu opera d'un altro fratello, Giorgio, anch'egli d'insigne carriera.
Fu battezzato in Amalfi il 20 marzo 1796 ed intraprese, come il fratello Federico, e il padre Alessandro, gli studi di giurisprudenza. Divenuto magistrato, si avvicinò per ragioni d'officio a Lecce, dove erano rimasti gli zii paterni, e in particolare il canonico D. Oronzo, e fissò il suo domicilio in Lecce, nell'avito palazzo di via S. Biagio. Si conservano diverse tracce di sue istruttorie e di rapporti con l'Intendente di Terra d'Otranto per il 1830. Confortate dalle antiche parentele locali e da quelle nuove e prestigiose contratte in Napoli, gli fu ben facile reinsediarsi nel ruolo primario che la famiglia aveva goduto e godeva nella nobiltà leccese. Sposò il 14 febbraio 1831 Carlotta Lopez y Royo, figlia di Bartolomeo dei duchi di Taurisano, e della duchessa Giovanna Caetani d'Aragona. La famiglia Lopez y Royo era non solo tra le più nobili delle ex-feudali di Terra d'Otranto, ma era pure una delle poche conservatesi doviziose anche dopo l'abolizione della feudalità e il Decennio francese. Oltre a consolidare i beni di casa Castriota Scanderbeg grazie anche all'eredità dello zio paterno D. Oronzo, il giudice Giorgio ebbe pure una dote ricca e, nel 1838, beneficiò pro quota, per l'interposta persona della moglie Carlotta, della divisione dell' asse Lopez y Royo. Pervenne così in famiglia la metà d'un altro palazzo leccese, il cinquecentesco palazzo Giaconia, e, tra l'altro, molte tele importanti, che andarono ad arricchire la già cospicua quadreria Castriota Scanderbeg.
Giorgio Castriota Scanderbeg mori nell'anno 1846, dopo aver ricoperto la carica di giudice della Gran Corte Criminale di Avellino e poi di Lecce. Dopo la morte del padre, Carlotta e i figli usarono spesso soggiornare a Taurisano, a sud di Lecce, dove la famiglia Lopez y Royo conservava vasti possedimenti. Dai contatti con la nobiltà locale, il 1870 derivò il matrimonio tra il primogenito di Giorgio e Carlotta, Alessandro, e Maria Mariglia, figlia di Cesare e di Marianna d'Amore, dei marchesi di Ugento e Principi di Ruffano. Fu a causa di questo matrimonio che Alessandro si trasferì appunto a Ruffano, abitando il cinquecentesco palazzo Mariglia, ristrutturato nel corso dell'Ottocento, e tuttora residenza della famiglia Castriota Scanderbeg. Tra i fratelli di Alessandro, il secondogenito, avvocato Federico (1836 - 1904), che non ebbe moglie, tornò a Napoli e vi morì; Francesco si stabilì in Taurisano, dando origine alla linea familiare che quivi rimase per un paio di generazioni per poi trasferirsi in Firenze e Lecce, nella cinquecentesca villa dei conti Berarducci-Vives; infine Costantino, il più giovane, fu eminente imprenditore agricolo e Presidente della Camera di Commercio di Lecce negli anni tra il 1884 e il 1886. Ebbe un proprio palazzo nella centralissima piazza S. Oronzo, che finì demolito negli anni '40 del secolo scorso, durante i lavori di rifacimento della piazza voluti dal regime fascista. Figlio unigenito di Alessandro e Maria Mariglia fu un altro Giorgio Castriota Scanderbeg, battezzato in Ruffano il 13 dicembre 1871; ottenne per sé il privilegio, poi esteso agli altri membri familiari e alla servitù, di udir messa e potersi comunicare nella cappella privata del palazzo di Ruffano. Nel 1895 sposò Francesca Bottari, dei baroni di Paretalto, e nel quadriennio 1897 - 1900 ricoprì la carica di sindaco di Ruffano.
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